L'Anno della Fede e noi 2012 - 2013

La Fede nelle nostre Costituzioni e Disposizioni Generali e come è stata vissuta dai nostri Fondatori: 

San Camillo, Santa Giuseppina Vannini e il Beato Padre Luigi Tezza 


Porta Ingresso Chiesa a Grottaferrata Casa Generalizia

Con la Lettera apostolica Porta fidei dell’11 ottobre 2011, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto un Anno della fede. Esso avrà inizio l’11 ottobre 2012, nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, e terminerà il 24 novembre 2013, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo.

Quest’anno sarà un’occasione propizia perché tutti i fedeli comprendano più profondamente che il fondamento della fede cristiana è «l’incontro con un avvenimento, con una Persona che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Fondata sull’incontro con Gesù Cristo risorto, la fede potrà essere riscoperta nella sua integrità e in tutto il suo splendore. «Anche ai nostri giorni la fede è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare», perché il Signore «conceda a ciascuno di noi di vivere la bellezza e la gioia dell’essere cristiani.

L’inizio dell’Anno della fede coincide con il ricordo riconoscente di due grandi eventi che hanno segnato il volto della Chiesa ai nostri giorni: il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, voluto dal beato Giovanni XXIII (11 ottobre 1962), e il ventesimo anniversario della promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, offerto alla Chiesa dal beato Giovanni Paolo II (11 ottobre 1992).

[…] L’Anno della fede vuol contribuire ad una rinnovata conversione al Signore Gesù e alla riscoperta della fede, affinché tutti i membri della Chiesa siano testimoni credibili e gioiosi del Signore risorto nel mondo di oggi, capaci di indicare alle tante persone in ricerca la “porta della fede”. Questa “porta” spalanca lo sguardo dell’uomo su Gesù Cristo, presente in mezzo a noi «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28, 20). Egli ci mostra come «l’arte del vivere» si impara «in un intenso rapporto con lui». «Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede».  

Perché l’Anno della fede? 

Papa Benedetto XVI ha indetto questo speciale Anno per invitare ad una «autentica e rinnovata conversione al Signore, unico salvatore del mondo» (Lettera Apostolica Porta fidei 6). Egli auspica che esso susciti in tutti i credenti «l’aspirazione a confessare la fede in pienezza e con rinnovata convinzione, con fiducia e speranza. Sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, ed in particolare nell’Eucaristia, che è il “culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua energia” (Sacrosanctum Concilium 10). Nel contempo, auspichiamo che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità. Riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata (cf. Costituzione Apostolica Fidei Depositum, 116), e riflettere sullo stesso atto con cui si crede, è un impegno che ogni credente deve fare proprio, soprattutto in questo Anno» (Porta fidei 9).

Anche se non mancheranno momenti pubblici di celebrazione e di comune confessione della fede, lo scopo specifico di questo anno è dunque che ogni cristiano possa riscoprire «il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo».

San Camillo

Fonte:
Lo Spirito di San Camillo de Lellis, Mario Vanti
Parte Seconda: Formazione Religiosa. Cap. II “Vivere a Gesù Cristo”

Stralci più significativi: 

La rinunzia è l’atto iniziale, fondamentale, dell’anima che intende consacrarsi a Dio. Ma non si arriva a Dio che per Gesù Cristo, e ci si unisce a Gesù Cristo con la fede in Lui. Con l’orazione, fatta in Lui (nel suo nome), con Lui e in Lui, ci si innalza e stabilisce in Dio.
 Fede dunque e orazione ci fanno vivere in Gesù Cristo. Camillo ha dato e lasciato edificanti esempi ed efficaci insegnamenti di spirito di fede e di orazione.
La generosa rinunzia a tutte le cose del mondo e a se stesso, meritò in Camillo un sensibile aumento della fede. Primo atto fu il riconoscimento di così gran dono. Quanto , o Signore, quanto vi devo e quanto vi sono obbligato per il dono della fede! E guai a me peccatore se non saprò conoscere così gran beneficio.
Educato e cresciuto nella fede dalla piissima sua madre, ma rimasto troppo presto privo di lei, Camillo trascurò fino a 25 anni gli obblighi della fede. Pure questa non era morta, fino alla conversione (2 febbraio 1575), da quel giorno si ridestò e splendette in lui sempre di più. Una fede e operante.

La sua fede

La fede di Camillo era integra, umile, luminosa. Abbracciava tutte le verità, con desiderio ardente di conoscerle, impararle e insegnarle. […] Insegnava il catechismo ai poveri che venivano al convento a cercare l’elemosina, completando la carità materiale che loro faceva. Se ne incontrava qualcuno per la strada, dopo averlo largamente soccorso, gli chiedeva se sapeva il “Pater”, l’ “Ave” e occorrendo, gliela insegnava.

Fin dagli inizi della Compagnia ordinò ai Religiosi addetti all’ospedale: “Tutto quel tempo che avanza dai servizi comuni e particolari ognuno che non sarà impedito procuri spenderlo fra i poveri insegnando loro il Pater noster, l’Ave Maria, il Credo e altre cose appartenenti alla salute dell’anima”.

Con fede umile Camillo accettava tutto dalla Chiesa, sua tenerissima Madre, con sottomissione perfetta e adesione immediata. Il suo amore al Vicario di Gesù Cristo, il Papa, era incondizionato. Riguardava le disposizione della Santa Sede come esplicite dichiarazioni della volontà di Dio. […] Sul letto di morte, una delle ultime raccomandazioni ai suoi Religiosi fu l’obbedienza e l’amore alla Santa Chiesa e l’attaccamento al Romano Pontefice. 

Provava il bisogno di manifestare la propria fede, né sempre gli riusciva di contenerne gli impeti e di moderarne le espressioni. Celebrando la Santa Messa recitava il Credo, in particolare gli articoli che racchiudono i più alti misteri, con visibile commozione; tremava nella persona, accennava ripetutamente con la testa, alzava il tono della voce, scandiva le parole. All’ospedale nel preparare gli infermi alla Comunione generale mensile, da lui predisposta e ardentemente zelata, usciva in espressioni che colpivano, impressionavano e commovevano fino alle lacrime. 

Alle parole del sacerdote: “Ecce Agnus Dei…” Camillo trasfigurato dall’ardente sua fede esclamava: “Ecco, o poverelli, la vostra medicina! Preparatevi a ricevere il Signore, apritegli il cuore: uscite incontro al Re del cielo: domandategli perdono dei vostri errori, perché Egli è quel Dio che avete offeso! Non dubitate della divina presenza, perché se pur con i sensi sentite pane, vedete pane, toccate pane, a ogni modo non è pane materiale, ma sotto quelle specie sacratissime si nasconde in Corpo, Sangue, Anima e Divinità Gesù Cristo, il Figliolo di Dio, nato da Maria Vergine!. 

La fede di Camillo fu soprattutto operosa. La commissione esaminatrice dei pochi scritti del Santo, in ordine al Processo di Beatificazione, riconobbe che “l’applicazione di lui fu piuttosto a far opere di fede e di carità che a scriver opere di studio”. La carità di Camillo era fondata su la fede, fede viva e operosa.

Prima manifestazione fu lo zelo per l’onore di Dio e la salvezza delle anime. Camillo era ripieno  di Dio: tutte le sue parole e opere ne davano testimonianza. […] Tenendo conto che Camillo visse nel periodo più aspro e violento delle contese religiose riformistiche, non solo non deve far meraviglia ma è anzi singolarmente conseguente alla sua indole che avesse quasi in orrore gli eretici. Il loro nome – diceva- suona al mio orecchio come quello di “demoni”. 

Zelo missionario e desiderio del martirio

Con ardore apostolico Camillo pensava e pregava per i pagani, dicendo talvolta: quanto volentieri darei il mio sangue per la loro salvezza”. […] Soddisfare questo suo desiderio, la Provvidenza gli offerse molte occasioni di patire per la fede, oltre il conforto di portare in seno alla Chiesa alcuni infedeli ed eretici. Perciò, con piena convinzione, ricordava a sé e ai suoi Religiosi: gli ospedali sono le nostre Indie e il nostro Giappone.

Quanto al patire per la fede, n’ebbe tante continue occasione così che il Cicatelli poté affermare che “ all’infuori dello spargimento del sangue, in cambio del quale versò e sparse tante lacrime, nessuna cosa gli restò quasi a patire di quelle che patiscono per la fede molti santi confessori di Gesù Cristo”.

Benedetto XIV nel Concistoro del 18 aprile 1746, in ordine alla Canonizzazione di Camillo, disse: “ Parecchi Teologi e Padri (della Chiesa) chiamano martiri non soltanto quelli che sono uccisi da gli eretici e da gli infedeli in odio alla religione cattolica, ma anche quei Santi che si occuparono sempre nel servizio di Dio e della salute dei prossimi, abbracciando in modo assiduo e continuo le opere di carità, non solo ordinarie ma difficili ed eroiche, fino all’ultimo della vita. Difficilmente si potrebbe trovare un modello più eminente, da classificare tra codesti martiri di  Camillo de Lellis”.

Il martirio di lui, per il trionfo della fede fu di molti anni, ogni giorno, persuaso che sia un preciso dovere per tutti i Ministri degli Infermi accettarlo e sostenerlo. Come i Padri Gesuiti – spiegava ai suoi Religiosi – e altri Missionari si affaticano fino a spargere il sangue per convertire gli infedeli, così noi dobbiamo fare l0 stesso per gli infedeli che vengono negli ospedali.

Le “proteste” di fede

Camillo esercitò lo zelo missionario tra i cristiani e innanzitutto tra gli infermi. Nell’ospedale le sue premure tendevano tutte ad assicurare ai malati la salute dell’anima. […] Le sollecitudini maggiori era per i morenti. Pareva, dice un teste, che li “sollevasse fino a Dio”. Insisteva in particolare per “le proteste”, cioè per la professione di fede. Ne metteva egli stesso in bocca ai morenti le parole.

Le proteste erano divise in tre punti. Il primo, era un atto di fede; il secondo, di speranza nella misericordia di Dio, in particolare nel Sangue preziosismo di Gesù Cristo sparso per noi; il terzo, era una ferma protesta contro ogni tentazione di sfiducia e disperazione. 

Suggeriva ai morenti di ripetere con lui, almeno col cuore, di voler morire nella fede confessata dalla Chiesa Cattolica Apostolica Romana, nella quale son morti tanti confessori, martiri e sante vergini e per la quale dovremmo esser pronti a spargere il sangue ed esporre mille volte, se tante occorresse, la nostra vita.. State saldo – diceva a qualcuno che vedeva incerto e timoroso – state saldo nel confessare la vostra fede, e sperate nella pietosa clemenza di Dio che può salvare ogni peccatore, per scellerato che sia, quando dà segni di pentimento, mentre tutti i peccati del mondo, di fronte alla grande misericordia di Dio e i meriti infiniti del Sangue di Cristo, sono meno di una goccia d’acqua in seno al mare.

Era nota a molti la singolare efficacia colla quale Camillo induceva i più ostinati peccatori a penitenza e le mirabili risorse con le quali disponeva i morenti a ben morire: una grazia e un talento che gli venivano dalla straordinaria carità con cui li assisteva.
[…] Per dilatare la fede e sostenere la pietà Camillo, sebbene tanto povero, non badava a spese, acquistando catechismi, corone, immagini devote, medaglie da distribuire a ogni incontro.

La fede dei prodigi

“Se avete fede quanto un granello di senapa – ha detto Gesù – potrete dire a questo monte: passa da questo luogo e passerà, e nessuna cosa sarà a voi impossibile” (Mt., 17,19). Camillo ebbe la fede che opera i prodigi.

Nei Processi Apostolici si parla di doni straordinari e di prodigi operati da Dio per mezzo del suo Servo, mentre era in vita. Tra i doni sono ricordati quello della scienza infusa, della profezia, della penetrazione dei cuori.

Avrebbe voluto e anche i suoi Religiosi avessero la fede dei miracoli. Un giorno il Padre Uccelli si prostrò ai piedi del Santo pregandolo di fargli un segno di croce su gli occhi malati, ma con poca fede di ottenere la guarigione. Camillo, che se n’accorse, lo benedì ma soggiunse subito: poca fede, poca fede! E la grazie non venne.

Fede nella divina Provvidenza

Ebbe una gran fede nella divina Provvidenza. Credete e seguì alla lettera il monito del Vangelo: “Cercate prima il regno di Dio” (Mt., 6,33), “date e vi sarà dato” (Lc., 6,38). Dio è fedele – soleva dire – e non manca mai ai suoi servi. […] Un giorno che all’ospedale non c’era più grano, avendo saputo che i suoi ne tenevano riposto ancora un sacco, mandò a prenderlo. Quelli, impauriti di dover soffrire  la fame, ne mormoravano. Il Santo, rimproverandoli: uomini di poca fede e di minor carità – disse loro – perché non vi fidate di Dio?  Da quel giorno un fornaio si offerse di dare a credito, ogni mattina, una cesta di pane bianco tanto buono che mai si era mangiato l’eguale. […] Nell’estate del 1605, c’erano nella Comunità di Napoli non meno di cento Religiosi. Una domenica mattina il fornaio che dava pane a credito da molto tempo, disgustato mandò a dire che non avrebbe dato altro finché non fosse stato soddisfatto. Avvicinandosi l’ora del desinare, il padre Ministro andò a darne avviso a Camillo. Non ho denaro – rispose – ed ecco qui la borsa vuota attaccata ai piedi del Crocifisso: ma andate a far orazione e confidate nel Signore che non lascerà morir di fame i suoi servi. Poco dopo si fermava alla porta di casa una carrozza e ne scendeva un gentiluomo di corte che per incarico della contessa di Benevento, viceregina di Napoli, consegnava al Santo una polizza di cambio di 200 scudi. Frattanto due alabardieri, che avevano accompagnato il gentiluomo, scaricavano una gran cesta di pane bianco profumato. Fratelli, abbiate fede – ripeteva commosso Camillo distribuendo ai suoi Religiosi quel pane -  e confidate nella benignissima Provvidenza di Dio, che non  abbandona i suoi Servi nei or bisogni. […] Nel 1612, a Bucchianico, si pativa e moriva di fame. Camillo entrando nella dispensa di casa vi trovò alcune poche provviste che i Religiosi vi tenevano gelosamente guardate; dette subito ordine che si distribuisse ogni cosa ai poveri, dicendo: Date ai poveri che Dio ne darà a voi. Da quel giorno non mancò mai il necessario. […]

[…] Nella lettera testamento, con la povertà raccomando l’intera fiducia nella divina Provvidenza: Chi dubiterà che (nostro Signore) non provvederà alla nostra Religione, essendo che la nostra Religione esercita un’opera tanto viva, non solo nell’ospedale ma nella raccomandazione delle anime, carità tanto grande, accetta e gratta non solamente a Dio, ma anche al prossimo, il quale se avrà un pane (per dir così) o spartirà mezzo per noi? sì che in questo non bisogna dubitare che manchi il necessario perché la grazia del Signore ne avremo da buttare, facendo il debito nostro.

FEDE

La fede è la virtù teologale infusa da Dio nell'intelletto mediante la quale si dà il proprio assenso alla Verità rivelata per l'autorità stessa di Dio che la rivela.

Padre Luigi Tezza


Il Servo di Dio, nato in una famiglia molto religiosa e pia, fin da giovanissimo visse in un clima di fede; la presenza di Dio entrò nella mente e nei sentimenti di Luigi Tezza in una forma e assiduità certamente di molto superiore alla sua età; e tale rimase per tutta la vita in un’incessante intensità di crescita fino a raggiungere i gradi dell’unione con Dio. Padre luigi Tezza, preoccupato di piacere a Dio e soprattutto di compiere sempre la Sua volontà si impegnò a ordinare tutte le sue azioni alla maggior gloria di Dio. E il Signore corrispose al suo servo fedele con il dono di una fede luminosa che lo fa giungere a vivere di fede, come il giusto del nuovo testamento: «Il giusto vivrà mediante la fede» (Rom 1,17).Non si nota nel Servo di Dio un raffreddamento o rallentamento nel fervore della fede neanche nei momenti, e sono vari, difficili e avversi e anzi proprio in tali situazioni la sua fede eroica in Dio risplende in modo del tutto particolare.

Dio era il suo centro, il punto di partenza e di arrivo di tutto il suo operare. I concetti di “amabilissima volontà di Dio”, “prodigi”, “grazia”,”amore”, “misericordia”, “confidenza”, “abbandono” sono molto presenti nella sua corrispondenza, in particolare quella diretta al suo padre spirituale, p. Luigi Artini.

Il Servo di Dio, con la virtù della fede ha informato tutta la  vita per mezzo dello spirito di fede, elevandola al piano soprannaturale. Egli ha saputo vedere Dio attraverso il prisma della fede ed ha giudicato con essa tutti gli eventi e le cose.

P. Luigi Tezza affermava: «Nulla avverrà che nel disegno della sua amabilissima provvidenza non concorra alla Sua maggior gloria ed al nostro spirituale vantaggio».[1] Madre Alfonsina Ferrari, che ha capito nell’intimo p. Luigi Tezza, testimonia che il Servo di Dio «in tutto e in tutti vedeva Dio, e in ogni evento adorava l’amabilissima volontà di Dio».[2] Egli raccomandava alle sue figlie spirituali di non lasciarsi prendere dall’instabilità dei sentimenti umani o delle instabili idee personali convinto che solo su Dio, che è l’immutabile, ci si deve poggiare. Dice: «Abbiate fede, figlie mie, e fede viva, che vi faccia sempre essere vere religiose per Iddio e non per la creatura. Iddio non si as­senta mai e mai non muta».[1] Raccomandava di frequente a loro di «operare in ogni cosa con spirito di vera fede».[2]

Il Servo di Dio per la virtù della fede vedeva nel dolore una vera benedizione di Dio, perché lo considerava fonte di purificazione e possibilità di offrire a Dio in modo concreto la propria vita. Diceva infatti quando nascevano difficoltà nella casa di noviziato in S. Giuliano: «Il Signore ci vuol proprio bene, perché tanto ci amareggia»;[3] e ripeteva le parole bibliche «Fiat voluntas Domini. Dominus dedit, Dominus abstulit sit nomen Domini benedictum».[4]

E quando in comunità le cose non vanno bene da un punto di vista umano egli afferma invece che Iddio ha posto su questa «le Sue più tenere compiacenze, e negli imperscrutabili dise­gni di Sua Provvidenza»[5] Dio progetta cose grandi. Ed ancora in un contesto di sofferenza dice al p. Artini: «Insomma se Iddio lo vuole, od almeno lo permette: Lui sempre benedetto».[6]

Il Servo di Dio spiegava alle figlie spirituali quanto egli comprendeva delle vie di Dio e cioè che il dolore e la sofferenza passano, mentre il premio di aver ben sofferto non passerà mai: «Coraggio, figlia mia diletta; il tempo passa presto; le sofferenze e i sacrifici passano, ma delle une e degli altri re­stano sempre i frutti dolcissimi. Siami generosa e tanto più allegra quanto più il Signore ti fa sentire la benedetta Sua Croce».[7]

La fede per il Servo di Dio diviene sicurezza e fonte di consolazione per lo spirito. Di fronte alle oscurità egli è sicuro che Dio non abbandona i propri figli. Il Signore è per lui “scudo e baluardo”

«Rincrescionmi assai le angustie di V.P. La cui fede per altro, che opera prodigi ogni dì, va oltre ad ogni più an­gustioso distretto.
Continuiamo a confidare Padre, Dominus providebit»[8]

«Intanto speriamo,  e viviamo tranquilli nella confidenza totale in Dio Signore, che certo ci farà andar bene tutto»[9]

«Iddio non ci ab­bandonerà.  Di sì bella confidenza V.P. me ne diè sempre esempio preclaro, ed io pure vo' seguitarLa sempre e vincermi ed esser sempre e mostrarmi lieto e tranquillo»[10]

«Non ci può essere che lo spirito della Croce di Gesù che tener possa in equilibrio a tali urti e cimenti».[11]  

I momenti dolorosi, diceva il Servo di Dio, sono «portabili solo nella volontà o permissione sempre adorabile ed amabile di Dio».[12]

« Faccia il Signore ciò che oggi preghiamo: Veni  ut hi qui in tua pietate confidunt, ab omni citius adversitate liberentur».[13]

«Insomma, sì, faccia il Signore, ch'Ei ci vede meglio di noi»[14]

Caratteristica del Servo di Dio è l’amore alla volontà di Dio, frutto della sua fede incrollabile. Egli nella sua vita fu sempre disposto «in tutto alla Volontà sempre Amabilissima del Signore»[15] espressione sua tipica, molto presente nei suoi scritti e come dimostrano i fatti concreti percorribili dalla vita che ha condotta.

«Sì, sia sempre ed in tutto come vuole il Signore, nè sarà mai, spero colla Sua grazia, che voglia rifiutare le Sue sem­pre dolcissime amarezze»[16]

«Sia fatta la volontà del Signore». [17]

Il 1867 è un anno di emergenza per le istituzioni religiose; nel Veneto era in vigore infatti la legge di soppressione dei religiosi, che vedono ormai il loro futuro segnato; la posizione del Servo di Dio, il giovane Tezza, è chiara: in tale situazione la sua reazione è un ininterrotto atto di fede radicato nella sua spiritualità. Egli vi vede un appello di Dio e confida interamente in Lui. La prova di questo stato d’animo appare nelle lettere di questo periodo, dalle quali stralciamo alcuni passi. Scrive all’Artini il 1 aprile 1867:

«Destituiti di ogni speranza  terrena, ed abbandonati da ogni umano aiuto e da cui forse più dovevamo aspettarcelo, più fidatamente e con più diritto ci abbandoniamo tra le braccia della Provvidenza,  di quella Provvidenza che fece sempre dei miracoli in V.P. e per V.P. e sì mol­teplici e sì solenni. Coraggio Padre mio. Anche in noi crocifissi col nostro caro Gesù sì avvererà il cum exaltatus fuero a terra omnia traham ad me ipsum».[18]Ancora più significativo quello che dice il 2 aprile.

«Padre! Ah quante volte da jersera ripetei specialmente per V.P. il "Si possibile est transeat a me calix iste... veruntamen non mea sed Tua voluntas fiat". Intanto va benissimo l'istanza e speriamo. Chi sa che intanto... Oh facesse il Signore! Non ho ancora affatto spenta la confidenza. Etiam si occiderit me  in hoc ego sperabo.[...] ogni Croce suole trar dietro a sè una serie delle belle grandi consolazioni, e sì anche per V.P. si avvererà il - Secundum multitudinem etc.».[19]Qualcuno in comunità  aveva forse proposto di ritornare nelle proprie case, non vedendo altra possibilità d’uscita alla soppressione, ma il Servo di Dio, scrivendo al padre spirituale, assicura che lui piuttosto che uscire dal convento o deporre l’abito «è disposto anche a subire la violenza»[20] da parte degli anticlericali.

E quando, per disposizione dei superiori con il noviziato venne fatto rifugiare in una casa di conoscenti di fiducia dice:

«Sono queste le prime parole e i primi palpiti che il suo Luigi Le addirizza dalla terra dell'esilio. Le emozioni del mio cuore in questo momento meglio che io esprimerLe potrà V.P. immaginarle, che tutte però s'incentrano e si compendiano nel sempre amabilissimo: Fiat voluntas tua. Nella presente dolorosissima circostanza però dobbiamo assai rin­graziare il Signore, di averci provveduti così»[21]. 

Quando nel 1867 egli preferì rinunciare a partire per l’Africa come missionario, perché il progetto non era conforme alla volontà dei Superiori dell’Ordine confida all’Artini: «Sono in vero afflittissimo nel vedere ridotta a meno che nulla un'impresa che pareva ormai favorita, ma così ha permesso il Signore e così sia».[22] Anche il p. Artini era contrario alla  partenza per l’Africa e il Servo di Dio, timoroso di non aver obbedito pienamente al desiderio del suo superiore - mediatore della volontà di Dio - afferma che il solo pensiero che avrebbe potuto tradire il suo padre spirituale lo straziava e continuava: «Ringrazio il Signore, non fu e non sarà mai colla divina grazia in eterno: come non è e non sarà mai ch’io voglia muovere un passo fuori della volontà di Dio».[23] Padre Luigi Tezza rimase fermo nel proposito di compiere la volontà di Dio espressa dai suoi superiori anche di fronte alle insistenze di chi voleva farlo partire per l’Africa perché come egli stesso dice:«non mi sento venir meno dalla pienissima confidenza nel Signore che sa mutare Prava in directa et aspera in vias planas nient’altro da me desiderandosi e volendosi che il Suo SS. Volere»[24] e rimase così nella pace e nella tranquillità dello spirito:

«Io intanto sono tranquillissimo [...] anche nella dolorosa  circostanza di vedermi pressoché fallite nel loro effetto quelle care speran­ze a cui tanto ardentemente anelava nel secreto dell'anima mia da ben più che otto anni. Ma così vuole Iddio e così sia; che senza la sicurezza del voler Suo la vita mi sarebbe non morte solamente, ma importabile inferno».[25] 

Nel maggio del 1885, quando il Servo di Dio fu confermato nella carica di superiore Provinciale per la Francia non ne rimase contento perché avrebbe preferito non esserlo ma, come aveva già dimostrato in tante precedenti occasioni preferì compiere la volontà di Dio. Scriveva al Vicario generale, p. Gioacchino  Ferrini: «Ah! Mon Père bien aimé - si possibile est transeat a me calix iste! - Veruntamen non mea sed tua voluntas fiat».[26]

Lo spirito di fede intensamente vissuto diventa per il Servo di Dio fonte di consolazione nei dolori e nelle infermità corporali, nelle prove interiori e nelle persecuzioni esterne. Esso fa infatti comprendere che il soffrire passa, mentre il ‘ben soffrire’ non passerà mai. Il Servo di Dio è convinto che «l'unica sorgente di conforto è la Croce del nostro caro Gesù sempre feconda a sovrabbondanza di grazie».[27]

«A questa sera Padre mio, ci venga ora qualche buona notizia: ma sarà ad ogni modo sempre buona quando sia della volontà del Signo­re».[28]

Il dono dell’intelletto perfeziona la virtù della fede in sommo grado. S. Tommaso indica sei modi diversi con cui il dono dell’intelletto fa penetrare negli aspetti più profondi e misteriosi delle verità rivelate. Nel padre Luigi Tezza questo dono è stato presente. 

Madre Alfonsina Ferrari testimonia che la Beata Giuseppina Vannini  affidò a lei una confidenza riguardante il Servo di Dio: in via Giusti dopo aver celebrato la Messa portò la comunione al letto di una suora malata ma «nel momento che con la sacra particola in mano stava per dire Ecce Agnus Dei fu visto dalle suore presenti cambiare di colore e di atteggiamento nel viso, quasi barcollante e come fuori di sè e, temendo si sentisse male, stavano per portargli una sedia, ma dopo alcun tempo si riprese e poté proseguire le preci di rito. La venerata Madre Fondatrice, saputa la cosa si diede premura di chiedere al Padre se si sentiva male e se avesse bisogno di qualche rimedio; ma egli assicurò che stava benissimo e che non gli occorreva niente, la Madre però, impressionata del racconto delle suore, non voleva credere e insisteva per voler sapere quello che era accaduto. Allora il Padre, vedendo che non poteva dissimulare, le disse: Ebbene, figlia mia, a te posso dire la verità. In quel momento, pensando di avere fra le mie mani Gesù, mi sono sentito trasportare come fuori dai sensi e non ero più presente a me stesso. Ma ciò non è niente, non farne parola con nessuno».[29]

Confidenza in Dio solo

Trovandosi a Roma, il Servo di Dio provava sofferenza nel constatare che in quella comunità non si viveva la vita comune perfetta, a cui era abituato, ma egli sperava che presto le cose sarebbero cambiate in meglio. Esprimeva così, al padre spirituale, la sua fiducia nel Signore: «Ma abbia pazienza Padre,  ancora un poco, e si farà giorno:  a non negli uomini sa, ed in alcuna umana potenza ché so bene che "maledictus homo qui confidit in homine" ma in Dio  che non può voler certo la distruzione del­le opere Sue,  interamente io confido».[30]

In tutte le occasioni della vita egli confidava in Dio. Tranquillizzava sua madre, Suor Camilla Nedwiedt, in apprensione perché non voleva che il figlio Scriveva il 12 gennaio 1869:

«Del resto [ho] pienissima confidenza nel Signore che disporrà ogni cosa secondo la Sua amabilissima volontà ed alla Sua maggior gloria
. Va bene così? Oh! sono allegro assai, contento, contentissimo... sarebbe forse predisposizione a qualche amarezza? E sia. Calicem quem dabit mihi Pater non bibam illum?  Stretti alla Croce di Gesù tutto è soave. Prega e fa pregare perché sia sempre così pel tuo Luigi». 
Al p. Artini, che doveva trovarsi in una situazione difficile, scrive l’8 agosto 1869: «La confidenza nostra sia tanto più intera e forte quanta più vediamo l'affare destituito di mezzi umani e terreni, e umanamente osteggiato e combattuto».[31] Quando in Francia stava per essere espulso insieme agli altri confratelli, a motivo della legge di soppressione, affermava: «Ci teniamo tranquilli e fidenti in Dio, che d'un soffio può disperdere i disegni e le forze degli empi».[32]

Alla Madre Vannini raccomandava spesso il «santo abbandono in tutto alla ss.ma volontà del Signore».[33]


[1] Dalla lettera a Suor Camilla Sommacampagna, s. d., in AFSC 1 A 098
[2] Dalla lettera a suor Alfonsina Ferrari del 30 gennaio 1895, in AFSC 1 A 014
[3] ALV 291/929 del 15 11 66 ad Artini
[4] ALV 291/978 del 26 11 66 ad Artini
[5]ALV 291/39 del 6 gennaio 1866 contesto di dolore
[6] ALV 291/1059 ad Artini del 18 12  66 contesto di sofferenza 
[7] Dalla lettera a suor Ermenenziana Scalera del 23 gennaio 1902, in AFSC 1 A 077
[8] ALV 291/515 del 24 giugno 1866 ad Artini
[9] ALV 291/541 6 luglio 66 contesto di guerra ad Artini
[10] ALV 291/982 del 27 11 66 ad Artini
[11] ALV 291/994 ad Artini del 30 11 66 contesto di sofferenza
[12] Dalla lettera a p. Artini del 28 maggio 1869, in ALV 294/262
[13]ALV 291/1070 21 12 66 conteso sofferenza
[14] ALV 291/1069 21 12 66 ad artini
[15]ALV Dalla lettera a p. Artini del 9 dicembre 1866, in ALV 291/1030
[16] ALV 292/296 14 aprile 67
[17] ALV 292/508 17 06 1867
[18] ALV 292/229
[19] ALV 292/234
[20] ALV 292/247
[21] ALV 292/573
[22] ALV 292/650 del 4 agosto 1867 deve rinunciare alle missioni
[23] Dalla lettera a p. Artini del 19 luglio 1867, in ALV 292/607
[24] Dalla lettera a p. Artini del 9 ottobre 1867, in ALV 292/804
[25] Dalla lettera a p. Artini dell’11 ottobre 1867, in ALV 292/812
[26] Dalla lettera del 9 maggio 1885, in AG 1692/39
[27] ALV 292/235 del 2 aprile 67
[28] ALV 292/274 del 8 aprile 67
[29] Da  Appunti del venerato P. Tezza di Madre Alfonsina Ferrari, in AFSC privi di segn.arch.
[30] Dalla lettera a p. Artini del 26-27 agosto 1870, in AFSC 295/227
[31] ALV 294/393
[32] Dalla lettera a p. Artini del 3 ottobre 1880, in ALV 1686/132
[33] Dalla lettera s.d., in AFSC 1 A 0106

Madre Giuseppina Vannini

Dichiarazioni prese della Informatio super causae introductione:

De heroica fede

Diomira Bon: “La serva di Dio nutriva una fede ardente verso il Signore, ed essa parlava ed operava ricordando sempre di essere alla presenza di Dio” (Summ.p. 28, & 100) 

Scolastica Dal Savio: “Madre Giuseppina ebbe dal Signore il dono della fede. Tutte le sue parole e le sue azioni tendevano unicamente a dar gloria a Signore e alla salvezza delle anime. Essa era veramente l’anima giusta che vive di fede; la sua fiducia in Dio la manteneva serena anche dinanzi a tante difficoltà . non mi è possibile ricordare l’esortazioni che di frequente essa faceva ma certo che erano ispirate da un profondo spirito di fede e tendente a santificare le nostre anime” (Summ. P. 61 & 212).

Maria Emerentiana Scalera: “Madre Giuseppina aveva una fede profonda e molto soda, poiché rifuggiva da quelle che potrei chiamare sdolcinature” (Summ.p.79, & 272)

Angela Della Vecchia: “…la spiritualità di quell’anima che nulla curante dell’opinione altrui, era volta ad altri lontani orizzonti” (Summ. p. 177 & 569).

Anna Tagliaferri: “La mattina alle quattro e mezza ci precedeva in Cappella, faceva  cn noi la meditazione ascoltava la Messa e riceveva la S. Comunione. Tutto faceva con raccoglimento, compresa di essere al cospetto di Dio. Anche durante il giorno faceva delle visite a Gesù Sacramentato, ed era presente in Cappella agli atti comuni” (Summ. P.47 & 166).

Maria Emerentiana Scalera: “Le preghiere  dovevano essere recitate a voce intellegibile, senza precipitare, perché essa diceva, che in quel momento la creatura parla col Creatore. La meditazione poi doveva farsi con raccoglimento, perché era in quel momento che il Signore faceva sentire alla nostra anima la sua voce” (Summ. P.79, & 273).

Agnes Le Conte: “Aveva una grande confidenza nella Provvidenza del Signore” (Summ. P. 19 & 73).

Amantia Perotti: “Tutto essa si attendeva dall’amore di Gesù, pur ponendo da parte sua il maggior impegno purché una cosa riuscisse” (Summ. P. 101, & 346).

Joanna Pedon: “In tali frangenti essa dice che le fu di molto conforto il pensare di aver fatto la volontà del Signore ed il ripetere le parole: In te Domine speravi” (Summ. P. 7, & 30).

Felicitas Squillari: “Madre Giuseppina aveva una fede tanto viva da prendere tutto dalle mani del Signore, anche i dolori avvertendo che Dio è nostro Padre e ci aiuta sicuramente” (Summ. p. 39 & 141).

Carola Dosi: “Vedeva in tutto la volontà di Dio anche quando disposizioni pontificie si dimostrarono contrarie alla nuova istituzione” (Summ. p. 50, & 178).

Scholastichae Dal Savio: “La fiducia in Dio la manteneva serena anche dinanzi a tante difficoltà” (Summ. p.61, & 212)

Bernardina Scanapra: “La Serva di Dio indirizzò tutta la sua vita ed i suoi sacrifici alla maggior gloria del Signore e alla dilatazione del suo Regno” (Summ. p. 65 & 225)

Maria Albina Silvestri: “Madre Giuseppina nella sua vita non cercò altro che la gloria di Dio e per questo affrontò di buon grado innumerevoli sacrifici” (Summ. p. 107, & 364).

Fidem suam F.F. manifestavit in:  a) La SS.ma Eucaristia massime nel Sacrificio della Mesa; b) in Cristo Sofferente; c) nel Cuore di Gesù; d) nella Beata Vergine Maria; e) in San Giuseppe;  f) in San Camillo.

“Quando poteva stare avanti il SS.mo Sacramento  aveva gli occhi fissi sul Tabernacolo, parlava con Gesù come se lo vedesse). (Summ. p. 149 & 498).

Maria Albina Silvestri: “Ho notato in Lei una devozione ardente a Gesù Sacramentato, un amore profondo per la Passione di Gesù Cristo che dimostrava con la pratica della Via Crucis” (Summ. p. 107, & 364).

Maria Sophia Marcio: “Era di gran fede, manifestandolo nel suo amore alla Eucarestia, e mettendolo in evidenza nelle sue conferenze nel noviziato dove veniva con gran frequenza.” (Summ. p. 127, & 425).

Speciale fede nel Sacrifico Eucaristico:

Bernardina Scanacapra: “La vidi parecchie volte mentre assisteva alla Santa Mesa e notai in lei un raccoglimento ed una devozione non comuni” (Summ. p. 64 & 224).

Rev. S.ris A. Frare: “Il suo profondo raccoglimento diceva che essa era compresa nei più sublimi misteri della nostra Santa Religione. Non mancava alla Messa e Comunione diaria, anche quando era fuori di comunità” (Summ. p. 149, & 499).

Sor. Felicitas Squillari: “La nostra Madre era molto pia, molto devota della Passione di N. Signore, tanto da far spesso la Via Crucis, e di consigliarla a noi suore. Nella Settimana Santa faceva sospendere i lavori materiali perché potessimo prendere parte alle funzioni” (Summ. p. 39, & 143).

Coletta Lombardi: “Madre Giuseppina era molto devota della Passione di Gesù e nella Settimana Santa teneva un contegno più raccolto mentre a noi raccomandava di osservare più diligentemente il silenzio, meditando i dolori di Gesù e gli oltraggi che riceveva dai cattivi cristiani. A suo dire, Gesù Crocifisso è il libro più bello che tutti possono meditare anche chi non sa leggere. Praticava l’esercizio della Via Crucis e amava proferire la giaculatoria:” Sacro Cuore di Gesù confido in Voi, sono nelle Vostre Mani” (Summ. P. 43 && 155, 156).

Diomira Bon: “Ardente l’amore che nutriva per il S. Cuore di Gesù e diceva che proprio da questo Cuore era uscita la nostra Congreagzione” (Summ. p. 29 & 102).

Maria Albina Silvestrini: “Madre Giuseppina ci raccomandava la devozione al S. Cuore per ottenere la grazia dell’obbedienza e della osservanza delle Regole e della umiltà quando eravamo riprese” (Summ. p. 107, & 364).

Diomira Bon: “Nutriva profonda devozione per la Madonna ed in proposito mi piace raccontare un piccolo episodio che mi capito a Cremona nel 1908. Madre Giuseppina era giunta da Roma dopo un viaggio che allora era faticoso e piuttosto lungo. Venuta in Cappella, mi vide che stavo preparando l’altarino per il mese di maggio. Ma non rimase soddisfatta, perché mi disse: “ Figlia benedetta, quanto è meschino quest’altare che hai preparato per la Madonna!”. Si mise all’opera, spostò dei banchi, trovò dei fiori finti e veri, prese in sacristia quei drappi  che vi erano  e preparò un suntuoso altare dicendo: “Non è mai troppo quello che facciamo per la nostra Mamma Celeste” (Summ. p. 28, & 102).

Felicitas Squillari: “ Era devota  della Madonna e ci consigliava la recita del S. Rosario. Durante le novene della Madonna, voleva che l’altare fosse bene accomodato con lumi e fiore, perché diceva: “l’interno si deve vedere dall’esterno” (Summ. p. 40, in initio).

Maria Albina Silvestri: “ Nei riguardi di Maria Immacolata aveva accenti che manifestavano la devota generosità del suo cuore. Ci invitava ad imitarla nell’ubbidienza, nell’umiltà, nella purezza d’intenzione. A Maria Immacolata dovevamo chiedere di essere illuminate nella Fede, nella Speranza, nella Carità” (Summ. p. 107, & 364).

Diomira Bon: “Verso S. Giuseppe aveva speciale devozione e quando si trovava nel bisogno, essa si raccomandava a lui e ci invitava a fare con lei delle preghiere. Soleva dire che come aveva provveduto alla S. Famiglia, così S. Giuseppe avrebbe provveduto al nostro Istituto. Introdusse nel nostro Istituto l’abitudine di recitare ogni giorno una particolare preghiera a questo Santo” (Summ. p. 29, & 103).

Bernardina Scanacapra: “Era molta devota di S. Camillo del quale parlava volentieri e spesso teneva conferenze alle religiose sullo spirito di S. Camillo e sull’esercizio della carità verso gli infermi poveri” (Summ. p. 65, & 103).

A.Frare: “Del nostro Santo Padre Camillo ci raccontava qualche esempio per abituarci a vedere Gesù nelle inferme e che quanto si fa alle inferme e a Gesù medesimo che si fa, quindi con amore, con delicatezza e con tutto il cuore”. (Summ. p. 149, in fine).

Joanna Pedon: “Mossa da una ardente fede, M. Giuseppina aveva un gran desiderio di portare a Dio chi era da Lui lontano, e in tal senso parlava alle sue figlie; consigliava anche di avere dinanzi agli occhi come unico scopo, quello di piacere e dare gloria al Signore”  (Summ. p. 7, & 28).

Agnes Le Conte: “La serva di Dio mostrava un grande zelo per le anime, pregava per i peccatori e noi l’abbiamo sorpresa a piangere a Brescia, per le offese fatte al Signore” (Summ. p. 20, & 73).

Diomira Bon: “Madre Giuseppina ci ricordava che è dovere delle suore arrivare alle anime attraverso i corpi, e perciò di avere sempre dinanzi agli occhi la salvezza spirituale dei malati. Ci raccomandava poi di pregare continuamente per gli agonizzanti, in modo che le loro anime si salvassero. Si addolorava delle offese che venivano arrecate al Signore e ricordo che un giorno io la vidi in cappella inginocchiata e piangente. Rialzatasi, andò in sacrestia e si mise a sedere e ad una mia compagna che le aveva chiesto quale dolore l’affliggeva, essa rispose: “sono addolorata per le offese che specialmente persone consacrate arrecano al Signore” (Summ. p. 30, & 106).

Amantiam Perotti: “ Ci raccomandava di istruirci nelle verità della fede, perché conoscessimo meglio il Signore, imparassimo ad amarlo nelle creature” (Summ. p. 101, & in fine).

Antonius Epicoco: “Durante i messi passati a Mesagne, la Serva di Dio iniziò anche l’insegnamento della Dottrina Cristiana ai fanciulli del rione. Scendeva essa medesima in chiesa e con santa pazienza e soave affabilità sapeva trattenere i ragazzi e terminava donando medagline, immaginette o libricini” (Summ. p. 110, & 371)

Costituzioni e Disposizioni Generali  Figlie di San Camillo


Dalle Costituzioni:

Parte Prima:
Il carisma e la congregazione

C16: perché il nostro apostolato sia fecondo cerchiamo di penetrare sempre più intimamente il mistero di Cristo e di coltivare l’amicizia personale con Lui. Tutta la nostra vita religiosa dovrà essere permeata dall’amicizia con Dio, affinché sappiamo essere ministre dell’amore misericordioso di Gesù verso gli infermi.
Così si rende manifesta in noi quella fede che in San Camillo e nei nostri Fondatori operava nella carità, per la quale vediamo negli infermi Cristo Crocifisso.
In questa presenza di Cristo nei malati e in noi, che prestiamo servizio in suo nome, troviamo la fonte della nostra spiritualità.

Parte Seconda:
Cap. I La vita della nostra comunità religiosa

C18: Dio creò gli uomini destinandoli a formare una a formare una unione sociale, in modo che senza vicendevoli rapporti non possono vivere né sviluppare le proprie doti. Cristo, poi, costituì in nuovo popolo quanti a lui si uniscono mediante la fede, la speranza e la carità.
Radunate per mezzo del battesimo in questo popolo di Dio, con la professione religiosa costituiamo una comunità ecclesiale con una propria forma di vita.
Consacrate al servizio del regno nel mondo della salute, sostenute dalla comunione fraterna, tendiamo a esercitare con frutti le opere del nostro ministero, sull’esempio della Chiesa apostolica. Siamo chiamate ad essere segno della comunione esistente tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, certe di parteciparvi fin d’ora.

Cap. II I Consigli Evangelici

 C39: Cristo, che abita per la fede nei nostri cuori, ci ha chiamate alla sua sequela. Attratte da Lui, noi lo seguiamo più da vicino, consacrandoci a Dio sommamente amato, nel servizio dei fratelli, la professione dei consigli evangelici.
C46: Con la professione della castità intendiamo rispondere al dono dello Spirito e, con cuore libero e indiviso, mettere tutto il nostro essere a servizio del regno.
Questa donazione radicale, che ci costituisce segno del mondo futuro già presente per la fede e la carità, libera il cuore da ogni legame esclusivo, favorisce la maturazione della nostra affettività, ci apre a una comunione gratuita con Dio e con i fratelli, rende spiritualmente e apostolicamente feconda la nostra vita.
C60: (La obbedienza)  La volontà di Dio si rivela sempre più nella luce della fede, noi la ricerchiamo ininterrottamente nell’umile ascolto della Parola di Dio, nella Chiesa, negli eventi quotidiani, nei segni dei tempi, nelle istanze del nostro ministero.

Cap. III  Il Ministero

C69: Promuovendo la salute, curando le malattie e lenendo il dolore noi cooperiamo all’opera di Dio Creatore, glorifichiamo Dio nel corpo umano ed esprimiamo la fede nella risurrezione.
C72:  Alla luce del Vangelo e nei modi adatti ai nostri tempi, aiutiamo i malati a trovare una risposta ai persistenti interrogativi sul senso della vita presente e futura e la loro mutua relazione, sul significato del dolore, del male e della morte.
Siamo loro vicine, specialmente nei momenti di oscurità e vulnerabilità, così da diventare noi stesse segno di speranza.
Nella nostra preghiera abbiamo presenti i bisogni degli infermi, offrendo a Dio le loro sofferenze e le loro attese.
C74: Sosteniamo nella fede gli infermi cronici perché sappiano affrontare con perseveranza le loro limitazioni, rendere fecondo il tempo della sofferenza per il rinnovamento e la crescita della loro vita cristiana, esercitare, da soli o uniti ad altri, l’apostolato proprio degli infermi.
La cura spirituale ad essi dedicata tende specialmente a rendere fecondo, per la salvezza del mondo, il mistero della Redenzione, al quale partecipano quanti sono uniti alla passione di Cristo.
C82: La Chiesa è missionaria e l’evangelizzazione è dovere di tutto il popolo di Dio. Il nostro Istituto fedele al mandato del Signore di curare i malati e di predicare il Vangelo, assume la sua parte e si inserisce con il proprio carisma nella varietà delle attività missionarie.
 C84: Per rispondere adeguatamente al dono ricevuto da Dio, la Congregazione ricerca in ogni tempo e luogo la fedeltà al carisma e il rinnovamento del ministero, in sintonia con lo spirito dei Fondatori e le istanze della inculturazione. Promuoviamo perciò a tale scopo la riflessione, il discernimento e la cooperazione a livello di comunità, di Province e d’Istituto.

Cap. IV La vita spirituale

C90: Manifestiamo l’amore a Gesù Eucaristia con la visita comunitaria quotidiana. Nel colloquio intimo con lui ravviviamo la fede, che ce lo fa credere presente sotto le specie del pane e del vino e riconoscere nella persona del malato.
C97: La nostra vita religiosa, nella fedele osservanza dei voti, nell’esercizio della carità fraterna e del ministero, comporta un’intensa ascesi della mente del cuore e di tutto l’essere.
Perciò nel nostro esteriore modo di vivere non cerchiamo speciali penitenze; tuttavia siamo fedeli nell’osservare quelle in uso nell’Istituto, stimiamo e pratichiamo l’abnegazione personale e la mortificazione, sapendo che solo con fatica raggiungeremo il premio, secondo l’insegnamento del Fondatore: “L’osservanza fedele della santa regola e di tutti gli usi, malgrado le difficoltà che incontrate, il sopportare lietamente e amorosamente per il Signore le molteplici privazioni alle quali siete soggette, il compatirvi generosamente l’un l’altra nei vostri difetti, ecco la penitenza che Dio vuole da voi e che io vi domando in suo nome” (LT 43)   

Parte Terza: 

Cap. I La Formazione

C111: Educhiamo le giovani all’acquisto delle virtù che sono più apprezzate sul piano umano e rendono più accetto l’apostolato, particolarmente la bontà del cuore, la sincerità d’animo, il rispetto costante della giustizia, la fedeltà alla parola data, la gentilezza del tratto, la discrezione e la carità nel conversare.
Aiutiamo le giovani ad acquistare l’attitudine al dialogo e al lavoro di gruppo, a collaborare con le sorelle con i laici, a sviluppare lo spirito d’iniziativa e l’amore allo studio e al lavoro. Le aiutiamo, inoltre, a conoscere e a interpretare alla luce della fede i problemi del mondo contemporaneo.

Cap. II Il Noviziato

C149: Le novizie, consapevoli della propria responsabilità, si impegnino ad un’attiva collaborazione con la maestra per poter rispondere fedelmente alla grazia della vocazione divina.

Fasi della Formazione

C173: Le Figlie di San Camillo sono chiamate a proseguire con impegno personale il cammino nella fede e nella conversione, in fedeltà dinamica allo Spirito Santo e alla propria consacrazione, secondo il carisma dei Fondatori, per rispondere al disegno di Dio nelle mutevoli condizioni dei tempi e rendere sempre più efficace l’apostolato.
A tal fine si impegnano a rinnovare continuamente la propria vita spirituale, culturale e professionale e ad aggiornare la propria competenza nell’esercizio del ministero.  

Parte Quarta:
Separazione, uscita dall’Istituto e riammissione

C175: Le Figlie di San Camillo desiderose di proseguire nella fedeltà alla loro vocazione chiedono a Dio la grazia della perseveranza. Se tuttavia una suora si trovasse in particolare difficoltà, le sorelle le siano vicine perché ritrovi il fervore e la gioia nel servizio del Signore.

Parte Settima:
L’obbligo della Costituzioni e delle Disposizioni Generali

C254: Prestiamo attenzione all’ispirata esortazione del Beato Padre Luigi Tezza: “Conto sulla vostra generosità e sul vostro attaccamento alla santa vocazione per mantenervi con santo coraggio, malgrado tutto, fedeli a ciò che avete promesso al Signore. Per carità, tenetivi unite al Signore operate in ogni cosa con spirito di vera fede, non vi permettete avvertitamente la più piccola mancanza alle sante Regole e alle osservanze di comunità; la negligenza alla Regola conduce inevitabilmente poco a poco al rilassamento, alla tiepidezza spirituale e alla colpa” (LT 37-38)

La parola del Fondatore sigillata e fecondata dal suo lungo silenzioso martirio, offerto “di tutto cuore” al Signore perché noi fossimo “tutte sue e solo sue” (LT 187), ci ottenga la grazia della fedeltà e della generosità sino alla vetta dell’eroismo.

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